30 giorni di buio

Trenta giorni e ancora non sei tornata dal tuo ultimo viaggio.

Noi che siamo rimasti a casa,

abituati ormai a cavarcela da soli durante le tue lunghe assenze

facciamo sempre le stesse cose di sempre:

mangiare, bere, lavorare, dormire, ogni tanto ci scappa un sorriso,

più spesso le lacrime ci sorprendono senza un motivo, senza sapere perché.

Ci abbandonavi, nei tuoi viaggi, per seguire Teatro e Poesia

i tuoi fedeli compagni di una vita che con amore portavi in giro per l’Italia e oltre i confini del Paese

laddove qualche spirito illuminato entrava in empatia con la tua arte. E allora era una festa!

Altre volte sparivi per portare soccorso ai familiari

rimasti soli – nella terra riminese cui eri tanto legata –

da quando tu avevi scelto di vivere nella grande città dove tutto è possibile.

Qui tutto continua come prima, solo c’è nell’aria una strana atmosfera di attesa per il tuo ritorno.

Un’immobilità di sottofondo ci spinge a fare tutto sotto tono.

A bassa voce.

Lentamente.

Sommessamente.

Come se invece di essere partita tu stessi dormendo, per recuperare le forze da un ultimo lavoro o da una lunga malattia.

Non è più l’atmosfera festosa di un tempo.

Forse che quando hai detto “il mio ultimo viaggio” intendevi senza ritorno?

3 commenti

  1. Sai che si cominciano a figurare le pagine di un romanzo epistolare? Questo è ciò che mi è venuto in mente alla prima lettura… e condivido il tono sommesso, i sentimenti prudenti e l’attesa. Ma, a ben pensarci, non funziona o dovrebbe funzionare cosi l’intera vita? Un’attesa senza aspettare, senza aspettarsi nulla di più se non la possibilità di riuscire a sentire intensamente ogni momento trascorso insieme.

  2. In caso di epistole, lascia ch’io sia il Mercurio dei poveri, Kora, dei poveri cristi rimasti di qua. Sono uso a tenere le ali in due staffe, quelle dei piedi, conosci i miei piedi, enormi, buffi ma saldi a terra. In entrambe le terre, uno in una, l’altro nell’altra.
    In caso di epistole, lascia ch’io sia il messaggero.

  3. @Vicky
    Ah beh, se l’intera vita deve funzionare come un’unica lunga attesa allora non mi preoccupo. Mi sono allenata da quando ero piccola ad aspettare un qualcosa di altro da ciò che vivevo pensando che la vita vera dovesse ancora venire. E così facendo mi sono persa tanti e tanti momenti che potevano essere vissuti e che invece, probabilmente, ho solo guardato come uno spettatore di uno spettacolo teatrale, che sa che a recitare sono gli attori sul palco, lui è solo pubblico, lui può restare in un angolo buio, senza dire, senza fare, senza partecipare. Ma come dici tu, se invece l’attesa si tramutasse in un sentire “ora”, nel momento, allora si potrebbe stare un po’ meglio. Enoi ci proviamo…

    @Claudio
    Non so perché, ma da quando hai scritto quel post per mia madre mi si è aperto un mondo di immaginifico aldilà che tu già conoscevi e che invece io fingevo di ignorare. No so perché, ma da allora ti vedo come il più inimmaginabile e pure adattissimo Messaggero in grado di portare missive da una terra all’altra, qualora se ne presentasse l’occasione. Sto delirando. Ma era solo un modo per dire che i tuoi buffi piedi alati mi rincuorano tanto in questi giorni di buio.

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